Alta Via Resiana, traversata a fil di cielo

La Val Resia è una valle splendida, grande, ricca di biodiversità e carica di storia. L’Alta Via Resiana è una traversata spettacolare degna della bellezza e delle caratteristiche del territorio, un prezioso gioiello che lascia un segno indelebile nella memoria e nel cuore.
Alla fine degli anni 90′ ho messo per la prima volta piede in valle. Avevo da poco iniziato ad arrampicare e l’esplosione del movimento del bouldering mi aveva incuriosito parecchio. Probabilmente grazie alla segnalazione di qualche amico, una domenica d’estate la famiglia Polo arriva in Val Resia alla ricerca di massi da arrampicare. Nel greto del Torrente Resia, all’altezza dell’abitato di Prato, troviamo il nostro prezioso terreno di giochi dove liberiamo qualche blocco nuovo nel settore alto. Un bell’inizio per un’area boulder che svilupperemo ulteriormente coinvolgendo un gruppo d’amici.

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Alpeggio nei pressi degli Stavoli Lom, sullo sfondo da sinistra i dolci pendii del Monte Sart, il Picco di Carnizza, Il Monte Canin, la cresta con al centro il Monte Lasca Plagna, la Baba Grande, la Baba Piccola, il Monte Guarda, ai suoi piedi l’alpeggio di Malga Coot e ancora più in basso il paesino di Coritis.

 

Non mi ero mai spinto oltre e la valle è ancora lunga. Passano un po’ di anni e finalmente capita l’occasione. Salgo da casa dopo lavoro per dare un’occhiata alla parete che sovrasta il Bivacco Costantini, il Torrione Mulaz. Secondo il compianto Carlo Gasparini offre buone possibilità di attrezzare alcune vie impegnative a spit. Mi addentro per la prima volta nella valle, non mi aspettavo che fosse così lunga, parcheggio poco sotto Malga Coot e parto a piedi. Appena termina il bosco il panorama si apre e regala uno spettacolo indimenticabile. La luce della sera inonda la valle, illumina i prati verdi e il contrasto con la roccia e il cielo lascia d’incanto. Corro e cammino veloce fino alla parete sopra il bivacco, salgo ancora un po’ verso forcella Infrababa grande poi scendo, corro fino al Monte Guarda al tramonto e ridiscendo a malga Coot con le ultime luci. Non ho trovato la parete che sognavo ma la bellezza del posto mi ha davvero stregato.

Sei Agosto 2016, nel tardo pomeriggio risalgo con Silvia la Val Resia e parcheggio l’auto al piccolo borgo di Coritis, ultimo paesino della Val Resia. L’alta pressione persistente coincide con i primi giorni in ferie di Silvia, l’idea mi frullava in testa da un po’ e cogliamo la palla al balzo.
Io non mi sono documentato preventivamente sulle difficoltà della traversata, sapevo solo che si fa in tre giorni e che bisognava star fuori due notti, il resto non mi preoccupava, si va all’avventura, così mi piace. A Silvia ho detto che andavamo a fare una passeggiata di un paio di giorni, forse sono stato un po’ superficiale nei suoi confronti ma a volte va bene così.

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Cippo di confine in vetta al Monte Guarda

 

Da Coritis risaliamo a piedi la strada asfaltata che termina a Malga Coot, proseguiamo oltre e risaliamo il ripido pendio fino in cima al Monte Guarda 1720m. Siamo al confine con la Slovenia, al margine Sud Orientale del Parco delle Prealpi Giulie, dominiamo la valle di Uccea e la valle del fiume Soča, di fronte a noi il maestoso gruppo del Canin e la cresta a fil di cielo che dovremo percorrere. Il sole sta tramontando regalandoci uno spettacolo sempre unico, affrettiamo il passo, scendiamo la cresta direzione Nord fino alle selletta denominata Predolina, proseguiamo nel vallone che scende dalla forcella Infrababa piccola e in breve arriviamo al Bivacco Costantini del Cai Manzano, quota 1690m. Siamo soli, il fuoco che accendo per scaldarci dà un tocco romantico al momento e consumiamo la cena. La brezza della sera è particolarmente fresca per il periodo, entriamo al calduccio del bivacco e in breve ci infiliamo sotto le coperte.

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Tramonto nei pressi del Bivacco Costantini

Sveglia con calma, colazione e poco prima delle nove ci mettiamo in marcia.
Risaliamo il ripido vallone e in circa un’ora raggiungiamo il Passo di Infrababa Grande, 2038m, e il sole del mattino ci riscalda piacevolmente, l’attraente cresta risale verso Nord e la targa dell’Alta Via Resiana anno 1981 segna il vero inizio di questa super giornata. Attacchiamo la cresta e risaliamo fino in Cima al Monte Slebe, 2317m, primo traguardo di oggi. I triangoli rossi dell’alta via hanno probabilmente la mia età e sono un po’ sbiaditi ma la direzione da seguire è ovvia, in cresta, un po’ di qua e un po’ di là, basta seguire la linea più logica. Questo tratto presenta alcuni passaggi di primo grado, di secondo solo un tratto appena sotto il Monte Slebe e in certi punti è esposto. Non presenta tratti attrezzati quindi va affrontato con attenzione e adeguata preparazione.
Dalla Cima del Monte Slebe proseguiamo direzione Nord-Est, scendiamo un tratto attrezzato di circa 50m con passaggi di primo e secondo grado fino a una selletta dalla quale proseguiamo agevolmente fino in cima al Monte Lasca Plagna, 2448m. Il panorama è stupendo, a Sud la cresta appena percorsa, i prati verdi e la grandezza della Val Resia, a Est il paesaggio “lunare” dell’immenso altopiano carsico Kaninski Podi, a Nord l’affilata cresta con sullo sfondo il Canin e a Ovest in lontananza i bei pendii del Monte Sart, ultima montagna della traversata e paradiso per gli ski-alper.20160807_100749-16

 

Dopo una breve pausa proseguiamo verso la prossima cima, il Monte Cerni Vogu, 2422m. Questo tratto non presenta particolari difficoltà tecniche, si scende di un centinaio di metri e si risale altrettanti per guadagnare la vetta.
Dal Cerni Vogu inizia un tratto impegnativo in discesa con passaggi di primo grado su roccia a tratti friabile e coperta di detrito. Prestiamo molta attenzione, l’esposizione non consente errori ma zigzagando destra sinistra superiamo le difficoltà e proseguiamo in cresta che via via si fa sempre più affilata ed esposta. Si scende, si continua in costa e si risale, camminando e un po’ arrampicando fino a raggiungere l’ultimo impegnativo risalto roccioso appena sotto il Porton Sotto Canin, 2345m. Superati ora alcuni bei passaggi di primo e secondo grado raggiungiamo terreno più facile e proseguiamo verso il Canin Basso. Agevolmente risaliamo il crinale, intercettiamo il sentiero che sale da Casera Canin (la via normale resiana al Monte Canin), aggiriamo sulla sinistra un risalto roccioso e riprendiamo l’arrotondato filo di cresta fino in vetta al Canin Basso, 2571m, caratterizzata da cippo di confine, ometto di pietre e dai resti di una vecchia croce metallica.
Proseguiamo in discesa su terreno facile, breve risalita a una cima intermedia e finalmente raggiungiamo la vetta del Monte Canin, 2587 metri, il punto più alto dell’intera traversata e del Parco delle Prealpi Giulie. Accompagnata dalle raffiche del vento sentiamo in lontananza la musica proveniente dal grande concerto in Conca Prevala e penso agli amici impegnati a servire il mare di gente accorso per l’evento. Ma tutt’attorno è troppo bello, il mio sguardo volge altrove e il pensiero vola lontano in cerca della perenne possibile nuova meta da raggiungere. La vista del mare rinfranca dagli sforzi compiuti e dopo una breve pausa siamo pronti a proseguire.

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In vetta al Canin, 2587m

 

Lasciamo alle spalle la vecchia croce del Canin e sul filo di cresta scendiamo con cautela il tratto esposto dapprima su facile sentiero poi via via più impegnativo ed esposto. In un paio di punti si abbandona la cresta per calarsi sul versante Resiano di parecchi metri in modo tale da aggirare alcuni risalti rocciosi per poi riportarsi in cresta. Alcuni tratti sono attrezzati con funi metalliche e a livello tecnico si affrontano difficoltà discontinue di primo e secondo grado. Ormai sotto le pendici del Picco Di Carnizza si riprende a salire un bellissimo tratto caratterizzato da lastre di pietra compatta solcate da rigole, da altri fenomeni di erosione e cosparse qua e là di megalodonti, caratteristico fossile presente in zona.
La discesa dal Picco di Carnizza si svolge lungo la via ferrata Grasselli e costituisce un tratto particolarmente esposto e impegnativo dovuto a molteplici fattori e specie se fatto in discesa. Bisogna prestare la massima attenzione alle condizioni della parete infatti, specie a inizio stagione, alcuni canali possono essere ancora innevati e in generale tutta la ferrata è esposta al pericolo di caduta pietre smosse inavvertitamente da altri escursionisti lungo il percorso. La ferrata è in buone condizioni infatti funi, pioli e fittoni sono stati sostituiti un paio d’anni fa ma in due punti ho trovato il fittone terminale strappato dalla roccia a causa dei fulmini che in caso di temporale scaricano la loro potenza sulla cresta. I fulmini infatti colpiscono i cavi metallici che fanno da conduttore e, nella parte terminale delle campate attrezzate, l’energia sprigionata fa esplodere la roccia attorno ai fittoni disarcionandoli dalla parete. Quindi bisogna fare attenzione e controllare preventivamente gli ancoraggi prima di trazionarli vigorosamente, in questo tratto una caduta potrebbe comportare conseguenze molto serie se non fatali. Fortunatamente noi eravamo i soli sulla via e devo dire che ce la siamo goduta in tranquillità consapevoli che fosse l’ultimo tratto impegnativo della giornata e di tutta la traversata. Ancora una crestina e un breve tratto verticale poi le ghiaie e il terreno facile che, in direzione Nord-Ovest e con brevi saliscendi, percorriamo fino al Bivacco Marussich, 2040m, nelle vicinanze di Sella Grubia, nostro traguardo di giornata.20160807_144441-30

Prendiamo posto nel bivacco inaspettatamente popolato e svuotiamo gli zaini. Abbiamo praticamente finito l’acqua, non basta neanche per la cena. Dò un’occhiata alla cartina e individuo una fonte segnalata direzione Ovest, alla fine del Foran dal Muss dove una ripida valle scende fino a Tamaroz in Val Raccolana. Mi incammino alla ricerca di acqua e finalmente dopo una buona mezz’ora individuo un rigagnolo di acqua superficiale dal quale attingo per un’altra mezz’ora tutta l’acqua necessaria per dissetare tutti gli ospiti del bivacco. Faccio ritorno al Marussich, nel frattempo altra gente è salita per trascorrere la notte, imbastiamo la cena, ridiamo e scherziamo con i nuovi conoscenti poi ci infiliamo sotto le coperte.

La sveglia del terzo giorno in questo posto fantastico è già un buon inizio di giornata, una splendida e radiosa giornata di sole. Con calma prepariamo gli zaini e riprendiamo il cammino verso il Monte Sart, l’ultima cima della traversata. Saliamo per comoda mulattiera dapprima sulla dorsale del Picco di Grubia poi attraversiamo interamente il versante Nord fino a raggiungere, dopo una breve discesa, l’erbosa Forca di Terra Rossa il cui toponimo non è casuale infatti in zona sono presenti caratteristici sfasciumi color rossastro. Da questo punto risaliamo la dorsale del maestoso Monte Sart caratterizzato da una verticale e imponente parete Nord e da un bellissimo pendio prativo a Sud. Raggiunta la cresta il sentiero corre quasi sempre sul filo con alcuni passaggi aerei e esposti ma non particolarmente impegnativi. Raggiungiamo l’antecima solo di pochi metri più bassa di quella principale e percorriamo la lunga cresta pressochè orizzontale fino in vetta al Monte Sart, 2324m. Il panorama è mozzafiato, la vista spazia quasi a trecentosessanta gradi e possiamo ammirare quasi integralmente tutta la bellezza della traversata. 20160808_095820-48

Sarebbe bello poter scivolare velocemente a valle con un paio di sci…ma l’erba alta al posto della neve rende disagevole la discesa di questo tratto caratterizzato da prato ripido e brevi risalti rocciosi che vanno aggirati un po’ a destra un po’ a sinistra mantenendo sempre la direttrice della verticale dalla cima e seguendo, ove possibile, gli sbiaditi triangoli rossi dell’alta via. Perdiamo circa 400m di quota e finalmente intercettiamo il sentiero Cai n. 632 che sale da Stolvizza. Prendiamo a destra e perdiamo ulteriormente quota abbassandoci su bellissimi prati fioriti sospesi sopra la Val Resia. Ora un lungo traverso quasi in costa ci permette di oltrepassare tutto il fianco meridionale della Cresta Indrinizza fino a raggiungere Sella Buia, 1655m.
Da qui in breve raggiungiamo il ricovero Igor Crasso, bellissimo edificio incustodito ma aperto di proprietà della sezione XXX Ottobre del Cai di Trieste. Anche qui siamo soli e approfittiamo per distenderci al sole e riposare un po’ prima di affrontare la lunga discesa.
Si sta divinamente, il posto è stupendo e il panorama non manca, fatichiamo a riprendere il cammino ma stiamo già sognando il brindisi giù in paese quindi ci mettiamo in marcia.20160808_111059-58

La discesa è molto lunga infatti scendiamo di circa 1100m di dislivello su comodo sentiero che, nella prima parte scende ad ampi tornanti su terreno aperto o poco boscoso passando poi in splendidi boschi di faggi, ampie radure come quella degli Stavoli Lom e Lomyc per terminare un bel bosco di pino nero e infine una comoda strada fino alle case di Ladina e quindi Stolvizza. Sperando di trovare un passaggio per ritornare a Coritis a riprender l’auto ci incamminiamo in strada. Neanche farlo a posta non passa nessuna auto, dico a Silvia di prendersela con calma e parto di corsa. Sembrava più vicino in auto ma a piedi è certamente altra cosa, sono circa 5km che mettono a dura prova le gambe, poco sotto Crittis passano un paio di auto ma per orgoglio abbasso la testa e vado avanti, un paio di tornanti e finalmente arrivo all’auto. Salgo veloce, sulla strada recupero Silvia e in breve ci accomodiamo con le gambe sotto al tavolo in una ruspante locanda di Stolvizza a mangiare e brindare sulla bellissima traversata appena compiuta.

L’Alta Via Resiana è davvero stupenda e merita essere percorsa, a mio avviso è probabilmente il più bel giro ad anello del Friuli (e non solo direi) con delle caratteristiche in grado di soddisfare un ampio spettro di escursionisti. Va affrontato con adeguata preparazione e con tempo stabile valutando anche le eventuali possibile vie di fuga in caso di imprevisti. Sulla traversata sono presenti solo alcuni tratti attrezzati quali: la ferrata Grasselli, un breve tratto tra il Canin e il Picco di Carnizza e circa 50m poco sotto la cima del Monte Slebe. Sul resto del percorso non sono presenti punti di ancoraggio e alcuni tratti sono particolarmente esposti. Consiglio di affrontare questi tratti con cautela, adeguata preparazione e padronanza della propria capacità di muoversi su questo tipo di terreno. Eventualmente potrebbe essere utile uno spezzone di corda da usare per assicurare qualcuno magari un po’ in difficoltà ma bisogna essere a conoscenza delle basilari manovre di corda e tecniche di assicurazione. Se affrontato a inizio stagione estiva alcuni tratti possono risultare ancora ricoperti di neve o ghiaccio quindi eventualmente valutare la necessità di portare picozza e ramponi. Per quanto riguarda l’attrezzatura consiglio un paio di pedule robuste, caschetto, imbrago, kit da ferrata, giacca gore-tex, piumino leggero, un paio di guanti leggeri, abbigliamento tecnico e un cambio. Noi ci siamo portati dietro il fornelletto, viveri e acqua a sufficienza. Non serve il sacco a pelo in quanto i due bivacchi sono dotati di coperte. Reperire acqua sul percorso è molto difficile, noi abbiamo fatto in autonomia fino al bivacco Marussich poi ho dovuto cercare acqua che fortunatamente ho trovato. Segnalo un pozzo lontano poche centinaia di metri dal bivacco direzione Ovest, probabilmente trovato da qualche speleo ma molto più vicino e comodo rispetto alla fonte a cui ho attinto acqua io. L’ingresso del pozzo si individua facilmente in quanto sono presenti dei vecchi paletti in alluminio, cordino, catena e recipiente da calare nella cavità per recuperare l’acqua.
Per concludere Vi consiglio di andare a farla perchè merita davvero, noi ci siamo proprio divertiti!

Alcuni Dati
Giorno 1: Coritis – Malga Coot – Monte Guarda – Bivacco Costantini, dislivello in salita 1186m, dilvivello in discesa 145m, tempo medio di percorrenza 3,30h
Giorno 2: Bivacco Costantini – Forcella Infrababa Grande – Monte Slebe – Monte Lasca Plagna – Monte Crni Vogu – Porton Sotto Canin – Canin Basso – Monte Canin – Picco di Carnizza – Bivacco Marussich ì,dislivello in salita 1292m, dislivello in discesa 932m, tempo medio di percorrenza 7,30h
Giorno 3: Bivacco Marussich – Forca di Terra Rossa – Monte Sart – Sella Buia – Stolvizza, dislivello in salita 339m, dislivello in discesa 1811m,tempo medio di percorrenza 5,30h

D+ totale 2817m
D – totale 2888m

Mappe:
Carta Tabacco 1:25.000 Foglio n.027 – Canin -Val Resia – Parco Naturale Prealpi Giulie

TEAM VISION, LA KING LINE

Ogni via salita ha la sua storia, un percorso più o meno lungo a tappe che evolve dallo stato di incertezza iniziale al successo finale.
Team Vision è una super linea di 50m in Scogliera, la falesia più grande dell’area Pal Piccolo-Passo di Monte Croce Carnico.
Attrezzata da Aberto Dal Maso – ADM nel Settembre 2015 poco prima e per il meeting di arrampicata Find Your Way e nata armoniosamente dall’intuizione, dal lavoro e dalla performance di un gruppo di amici.

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Sto Passando un rinvio ad Adam – Foto Christian Chiavedale

Lo scopo del meeting è anche quello di attrezzare qualche via nuova e al nostro arrivo sotto la parete armati di trapani e materiale, troviamo una bella corda penzolante proprio nella zona che avevo pensato di esplorare e eventualmente valorizzare.
La parete è talmente bella che in breve individuiamo due linee, ADM si occuperà della super colata nera sulla verticale della corda fissa mentre io mi sposterò più a sinistra su quella che poi diventerà il bellissimo 8c di Find Your Way.
In fase di chiodatura ADM è un po’ perplesso sulla fattibilità della sua creatura, io invece sono convinto che la linea sia scalabile e gli raccomando di fare un bel lavoro.
I cantieri ci impegnano per gran parte della giornata e alla fine siamo entrambi soddisfatti del lavoro, le vie sono pronte per essere provate.
Alberto ha chiodato benissimo e l’indomani Adam Ondra sale la via al secondo tentativo definendola una “king line”, è nata la Team Vision.

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Adam Ondra in uscita di Team Vision – Foto Alberto Dal Maso

Dopo la salita di Find Your Way e di Bella Senza Nome ho spostato la mia attenzione su Team Vision pur sapendo che sarebbe stata dura e probabilmente impossibile per me.
La via si compone di una prima parte di 7blunga circa 20m poi una sezione dura di 10 movimenti fa lievitare il grado a circa 8b a cui segue una parte di resistenza di una quindicina di metri fino a un buon riposo prima del difficile e psicologico strapiombo finale.
Ci sono voluti un po’ di tentativi per risolvere e affinare le sequenze ma poco a poco il puzzle prendeva forma e l’incertezza iniziale stava gradualmente evolvendo in barlume di speranza.
Il difficile tratto iniziale e l’uscita rimanevano una grande incognita, facevo la sequenza ma in continuità non riuscivo a passare il blocco iniziale e cadevo in uscita con gli avambracci belli gonfi.
Risolutiva è stata una foto che ritrae il buon Adam Ondra in azione durante la libera del tiro. Sono riuscito ad avere questi scatti solo a novembre, dopo un anno ce n’eravamo quasi dimenticati, ma quasi per magia sono comparsi al momento giusto.
Pochi giorni dopo ritorno in Pal Piccolo curioso di verificare il possibile nuovo metodo. Faccio il primo giro con il vecchio sistema ma cado ancora alla fine della sequenza, così non può andare.
Provo subito il nuovo metodo, la sequenza di Adam. Un piccolo dettaglio, un movimento in più sfruttando una microtacca che permette di alzare il baricentro e sfruttare meglio l’appiglio successivo.
La sequenza entra al primo colpo e sembra decisamente meglio rispetto a come provavo prima. Sono fiducioso.

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Team Vision – Foto Enrico Mosetti

Dopo un buon riposo parto per il secondo giro della giornata, arrivo sul passo, strizzo per bene le piccole prese e finalmente afferro la buona presa di fine sequenza. Respiro, decontraggo, mi calmo un po’ e riparto deciso. Tra uno sbuffo e l’altro arrivo al buon riposo prima dell’uscita. Ho gli avambracci stanchi, la testa che “fuma” e mi devo impegnare tantissimo per riprendere il controllo e considerarmi pronto a proseguire.
Con un po’ di pazienza ci riesco e, raccogliendo le ultime energie rimaste parto per l’uscita.
Ogni movimento è lungo, sono sempre molto steso, gli appoggi sono precari, gli appigli vanno caricati in maniera precisa ed è necessario un grande controllo del corpo per non sbilanciarsi e cadere. Due spit e dieci movimenti mi separano dal successo, domino i primi cinque, vacillo al sesto e cado al settimo entrando e uscendo con le dita dalla presa buona, l’appiglio della vittoria. I tre movimenti finali infatti non sono difficili.
Non mi arrabbio nemmeno, ho dato il massimo, sono contento e ora ho la certezza di poterla salire.
Lo stesso giorno provo un terzo giro e cado nuovamente in uscita anche se un paio di prese più in basso rispetto al tentativo precedente.
Il bilancio della giornata è più che positivo e, pur sapendo di aver perso una buonissima occasione, sono convinto che la salita non può essere lontana. Non sarà proprio così…
Il tempo peggiora, nevica poi piove e inizio a temere che il rigore dell’inverno costringa a rimandare tutto alla prossima primavera. Dopo una decina di giorni il tempo migliora e sembra che l’alta pressione durerà. Il vento e l’esposizione a sud favoriscono l’asciugatura della parete e dopo appena un giorno di bel tempo ritorno sulla via. Siamo a metà novembre ormai e seppur favorendo dell’inversione termica che garantisce temperature più miti in quota che nei fondovalle, il cielo dev’essere sgombro da nubi altrimenti è troppo freddo per arrampicare. Un paio di volte infatti ci siamo dovuti ritirare per il freddo e cambiare falesia.

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Team Vision – Foto Enrico Mosetti

Riesco a fare dei buoni giri, cado 3-4 volte in cima al tiro su un movimento particolarmente ostico e precario,un paio di volte cado nel tratto di resistenza prima del riposo finale causa sgommate di piedi o stanchezza. Ammetto che pensavo di chiudere i conti più agevolmente, inizio a patire mentalmente la lunghezza del tiro e continuare a cadere al quarantacinquesimo metro è molto stressante.
Il tempo peggiora nuovamente e ritorno sul pezzo a dicembre.
Sembra impossibile ma le condizioni meteo sono fin troppo buone, atmosfera secchissima, sole e venticello sarebbero il top per arrampicare. Su questa via per me non è così infatti la pelle troppo secca scivola sulle prese e arrampicare in queste condizioni richiede la massima attenzione e precisione per non scivolare dai minuscoli e sfuggenti appigli. Cado sempre in cima perchè sul passo chiave non riesco a “sentire” bene gli appigli, scivolano e spreco troppe energie per rimanere attaccato alla roccia.
Settimana di Natale, ormai psicologicamente sono cotto dopo essere caduto troppe volte sull’uscita del tiro ma ma non mi arrendo e mi ostino a provare ancora.
Agli occhi di molti sembra follia ma io ci sono dentro fino al collo in questo vortice di passione, emozioni e attrazione per questo pezzo di roccia. Voglio chiudere i conti.
Il 21 Dicembre salgo in Scogliera assieme ad Alberto e Andrea, giornata super e sembra un po’ più caldo rispetto alle volte precedenti, ciò è decisamente positivo.
Durante il riscaldamento le sensazioni sono buone, cerco di rilassarmi e restare calmo, riposo un’oretta poi è il mio turno.
Salgo la prima parte, breve riposo, passo il blocco duro, continuo a respirare, decontraggo e riparto veloce. Altro riposino, passo anche la difficile e precaria sezione successiva, altra piccola decontrazione poi stringo i denti sui difficili movimenti successivi e arrivo al buon riposo prima della parte finale. Mi sento stanco ma sembra un po’ meno rispetto la volta prima, respiro, scrollo le braccia, mi tranquillizzo e cerco di proiettare sull’uscita tutte le rimanenti energie psicomotorie.

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Team Vision – Foto Enrico Mosetti

Alberto mi assicura con attenzione, grido “vado” e parto. Entro nella sequenza, eseguo tutto alla perfezione, stringo a dovere la malefica tacchetta spallata di sinistro, mi rannicchio, carico di destro l’orribile appoggio e lancio alla presa obliqua di mano destra. Automaticamente la tensione muscolare blocca la sbandierata e resto su. Muovere i piedi in questa situazione richiede grande sforzo e attenzione, continuo a respirare, blocco ben bene di braccio destro e li alzo. Intermedio di sinistra e poi afferro la strana tacca svasa da stringere con il pollice, altro difficile e cruciale posizionamento di piedi e grande allungo alla presa buona da afferrare con precisione. Temevo molto questo passaggio perchè mi aveva già respinto una volta e l’ansia da prestazione avrebbe potuto annebbiarmi la mente.
Mi sento bene,ho ancora energie, eseguo tutto perfettamente, mi allungo al massimo e afferro la presa, alzo i piedi, respiro, non ci credo, quasi strappo dalla parete le ultime tre prese, passo la corda in catena e urlo di gioia. Ho salito Team Vision, una king line, ho vinto i demoni del fallimento e sono davvero felice!
Mi faccio calare, levo i rinvii e cancello con lo spazzolino tutti i segni della mia battaglia riportando la parete al selvaggio e incognito splendore iniziale.
A terra gli amici mi abbracciano e sembrano felici quanto me, del resto abbiamo condiviso tutto il percorso, è bello chiuderlo insieme e poi forse erano anche un po’ stanchi di farmi sicura.
Il sole è ancora alto nel cielo, la meritata birra può aspettare e arrampichiamo fino al tramonto.Salgo anche il bellissimo 8a di Mumbo Jumbo fallendo per un soffio la salita dell’allungamento di 8b, super giornata.
Per un po’ non arrampicherò in Pal Piccolo, ci vuole una pausa ma non vedo l’ora di mettere le mani sulla super linea della Ics, altra via dura liberata da Adam che attende ancora la prima ripetizione.
Salite Team Vision è stato per me molto importante, un percorso duro e lungo per i miei standard, mi sono spinto al limite, ho dato il massimo, mi sono innamorato della linea e con costante dedizione sono riuscito a salire una tra le più belle vie della mia vita. Grazie ADM per aver chiodato bene e grazie Adam per il bel regalo della prima libera.

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La king Line – Team Vision

Nelle mie salite l’interesse che ripongo nel grado è di gran lunga minore rispetto ad altre ben più nobili e importanti motivazioni. La bellezza della linea, la qualità della roccia e della scalata, l’impegno globale necessario, la location e infine ma non meno importante, la buona qualità della chiodatura (posizione e adeguata distanza tra le protezioni) contribuisce ad accrescere la bellezza di una via rispetto ad un altra.
Team Vision è stata liberata da Adam al secondo tentativo dopo un primo giro perlustrativo per pulire gli appigli e studiare le sequenze. Il secondo giro è stata una passeggiata di salute, almeno così è sembrato a noi spettatori.
Salire una via su quella inclinazione e tipologia di prese è per lui pura formalità, non gli serve tanto studio, è fisicamente al di sopra di queste difficoltà. Sulla base di queste considerazioni può capitare che non sempre esegua le sequenze nel modo più economico in termini di dispendio energetico. E’ un fatto normale che sicuramente sarà capitato alcune volte a climber impegnati con le prime libere di tiri appena chiodati. Propone il grado di 8c+.
Mentre provavo la via, spontaneamente e inevitabilmente ho iniziato a ragionare sulla gradazione.
Purtroppo non ho ricordi dettagliati del tentativo vittorioso di Adam ma per alcune sezioni le foto scattate da ADM mi hanno aiutato a fare le dovute considerazioni.
Nella prima parte eseguiamo le stesse sequenza, nella parte centrale più o meno anche mentre sull’uscita ho trovato una sequenza diversa, più diretta, meno precaria di quella eseguita da Adam e testimoniata dagli scatti in mio possesso.
Basandomi sulla mia esperienza di vie ripetute e liberate, dei vari viaggi arrampicata nei posti di riferimento mondiali dove ho provato anche vie più dure di Team, penso di possedere sufficiente esperienza e onestà morale per valutare ponderatamente la questione grado.
Sulla base di quanto sopra citato ho proposto un piccolo ritocco della gradazione verso il basso passando a 8c/c+ sempre e comunque in attesa di ulteriori ripetitori.
Scrivo in merito a ciò perchè ho ricevuto svariate battute più o meno ironiche sul fatto che ho “sgradato” una via a Ondra e mi son giunte voci di gente che ritiene la mia proposta di ritocco del grado un sintomo di arroganza.
La cosa che mi dispiace maggiormente è che pochi mi hanno chiesto della bellezza della via o di come ho vissuto la salita, la maggior parte si è limitata al grado.
Alla base di tutto penso ci sia un briciolo di invidia altrimenti non capirei l’atteggiamento.
Io arrampico per me stesso, ne ho bisogno e sono felice quando lo faccio. Cerco di essere obbiettivo in merito a quello che faccio, non voglio mentire a me stesso ingrandendo prestazioni delle quali conosco il valore e non voglio spacciare agli altri, agli sponsor e ai media una prestazione più grande di quello che in realtà è. Questa a casa mia è umiltà, l’arroganza la lascio a chi giudica spesso in modo non consapevole e senza esperienza.
Impariamo ad amare la roccia e a rispettarla, a godere del gesto atletico e della bellezza dei movimenti lasciando in secondo piano i gradi, le invidie, le stupide competizioni in falesia e i giudizi a cuor leggero, vivremo meglio la nostra passione e la condivisione sarà più piacevole.
Buone arrampicate a tutti, ci vediamo in parete!